Valentina Bernabei
3 min readDec 8, 2024

Sono andata a vedere la mostra “San Francesco, alter Christus” con lo stesso entusiasmo che in tempi non sospetti, nel secolo scorso, mi conduceva da Haring, antifrancescano per eccellenza (a prima vista, certo). Haring era al centro di Roma, San Francesco alla periferia di Venezia (perché per i veneziani dire “venire da Castello” vuol dire estremamente lontano, “ai bordi di periferia”).

Per me, il santo nelle stampe è radiante come il bambino di Keith. L’intenzione dell’ordine francescano, con questa esposizione di immagini sacre, è quella di ricordare gli ottocento anni dall’episodio delle stimmate. L’episodio in sé stesso mi interessa di meno, ad attirarmi è certamente il tipo, il modo e la storia delle stampe, religiose e non, e uno spirito francescano che ho spesso in testa e altrettanto spesso trovo disatteso, anche dove non mi aspetto che lo sia.

Le 139 opere in mostra non deludono: restituiscono una cronologia dell’evoluzione della stampa e della raffigurazione, e si, scrivo opere e si tratta di 10 stampe su cavalletti, e 129 santini bellissimi. Tra quest’ultimi spicca un’incisione ad acquaforte con margini trinati a punzone eseguita a Milano tra il 1850 e il 1870 da Santamaria Getano, dimensioni 72 per 11 millimetri.

Ci sono anche incisioni a bulino, litografie, fotolitografie, calcografie, cromolitografie, realizzate a Bologna, Udine, ma non solo italiane.

Questo per quanto riguarda il contenuto della mostra. Per lo spirito francescano, la prima conferenza all’interno della mostra non mi esalta come l’esposizione, al contrario me la manda di traverso.

Inizia così: “Venezia, come Assisi, bella ma scomoda per viverci” dove questa fantomatica scomodità è stata evocata come un peso, da evitare, cosa a mio avviso molto distante dallo spirito francescano, ma dal momento che ho “zero titoli” per mettere in dubbio il sentire francescano, per giunta di un francescano, semplicemente giro le scarpe da ginnastica anziché i tacchi e torno da Castello verso casa.

Mi dispiace, potevo rimanere e andare oltre questa prima frase (magari alla fine ha ribaltato il concetto) e ascoltare quello che aveva da dire il certamente preparato fratello francescano invitato a conferire, ma ho ben in mente altri presupposti francescani che mi impediscono di farlo, come quelli evidenziati dall’enciclica di ottobre 2020 “Fratelli tutti” in cui, tra le altre cose, il Papa scriveva dell’impegnativo viaggio che San Francesco decise di affrontare per incontrare il sultano fino in Egitto.

Dall’enciclica: “È la sua visita al Sultano Malikal Kamil in Egitto, visita che comportò per lui un grande sforzo a motivo della sua povertà, delle poche risorse che possedeva, della lontananza e della differenza di lingua, cultura e religione. Tale viaggio, in quel momento storico segnato dalle crociate, dimostrava ancora di più la grandezza dell’amore che voleva vivere, desideroso di abbracciare tutti. La fedeltà al suo Signore era proporzionale al suo amore per i fratelli e le sorelle. Senza ignorare le difficoltà e i pericoli, San Francesco andò a incontrare il Sultano col medesimo atteggiamento che esigeva dai suoi discepoli: che, senza negare la propria identità, trovandosi «tra i saraceni o altri infedeli […], non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio».[3] In quel contesto era una richiesta straordinaria. Ci colpisce come, ottocento anni fa, Francesco raccomandasse di evitare ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un’umile e fraterna “sottomissione”, pure nei confronti di coloro che non condividevano la loro fede”. Direi che qualche camminata tra le calli anche da Santa Croce, ma senza crociate nei paraggi (non in senso ligure, sia chiaro), in confronto siano una passeggiata, ma certamente tutto è relativo.

Per casi fortuiti in borsa con me ho un libro di Peguy, che come il francescano guest star della mostra era un teologo, oltre che poeta, educatore e molto altro. Peguy è morto giovane, peccato ne avrei ascoltato il parere oggi pagando oro (che non ho, sia chiaro). Peguy nel 1900 ha fondato i “Cahiers de la Quinzaine” una rivista con contenuti dallo spirito critico, di approfondimento, di apertura al dibattito. Peguy che venne definito anarchico, socialista etc aveva già iniziato il suo studio e approfondimento nei confronti di Giovanna d’arco che è stata definita santa per i cattolici e anche per i laici, come ricorda Pietro Nonis in una straordinaria “introduzione” del libro “Charles Peguy poeta, educatore, teologo” (il resto del libro non è all’altezza delle prime pagine di Nonis).

Peguy a Giovanna d’arco dedicò studi, scritti e libri. Cosa avrebbe scritto e detto di San Francesco?

Valentina Bernabei
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Written by Valentina Bernabei

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