There is not a day that goes by that
A cosa servono le mostre di arte contemporanea? A cosa servono i curatori? Dovrebbero indurci indirettamente, attraverso le opere esposte, a porre qualche domanda, lasciarci uscire dal museo o dalla galleria con un dubbio o anche solo con una fantastica meraviglia, ma questa è ormai davvero più difficile da trovare e da provare.
Di certo la sindrome di “farsi i selfie” ha sostituito la sindrome di Stoccolma di fronte alla bellezza. Di più. La bellezza non è proprio la caratteristica finale cercata dall’arte contemporanea, anzi.
Più sei decorativo più scarseggi in contenuti secondo molte correnti contemporanee, dal concettuale in poi.
Tra le mostre che ho visto quest’anno in Italia, molte inutili, parecchie deludenti, tantissime vuote, ne salvo e me ne porto appresso due, facciamo due e mezza.
La prima già studiata e ancora da studiare, la seconda per il suo lato inclusivo, la terza più che la mostra il lavoro artistico all’interno di una mostra.
La prima è quella di Seth Siegelaub (New York 1941-Basilea 2013),di cui in foto qui sopra si vede l’allestimento di Philippe Rahm alla Triennale di Milano ed è in esposizione anche alla Fondazione Antonio Ratti, che ha recente acquisito un prestigioso fondo di libri appartenuto all’artista, con conseguente donazione della sua collezione di tessuti da parte di Marja Bloem. La mostra, a cura di Lorenzo Benedetti, Marja Bloem eMaddalena Terragni a ingresso gratuito, è ancora visitabile fino al 7 gennaio 2024.
Come suggerisce il titolo “tessuto arte teoria” la mostra ricostruisce, attraverso opere, tessuti e documenti, il lavoro dell’artista e la bellezza è data dalla semplicità con cui viene mostrata la complessità del suo lavoro che è stato soprattutto di ricerca in ambito teorico, tessile e culturale.
Siegelaub è stato gallerista, curatore, editore e collezionista, la sua costante attenzione al libro è restituita in questa personale tra i reperti tessili (31 copricapi), l’attività editoriale (59 libri, di cui due in foto sotto) e l’arte contemporanea. Difficile trovare un nome che ha svolto una carriera artistica altrettanto completa.
La seconda mostra che mi ha colpito positivamente, l’ho vista a Torino, alle Gallerie d’Italia Intesa San Paolo, dove sono state esposte le ricerche fotografiche realizzate dagli studenti del secondo anno del corso triennale di fotografia dello Ied Torinese. Si intitolava “Il margine fa la pagina”, citando Jean-Luc Godard. Più che una mostra un progetto che ha visto protagonista la città, soprattutto periferica, dall’ex fabbrica Ceat in Barriera di Milano alle fermate dei mezzi pubblici di Pozzo Strada, con uno sguardo nuovo, giovane, entusiasta, alternativo.
La terza infine, l’ho vista al Maxxi di Roma, ma più che la mostra, che non ho trovato altamente fruibile e invitante come poteva essere, salvo un lavoro all’interno di essa. L’esposizione è “AALTO — Aino Alvar Elissa” a cura di Space Caviar. La dimensione umana del progetto di AALTO è indiscutibilmente reale e documentata ed esposta ma è il lavoro di Ramak Fazel, dal titolo FPO (For Position Only), che testimonia la vita odierna degli edifici degli Aalto e il loro impatto sulle comunità ad essere interessante e di livello: sociologico, contemporaneo, fotografico.
ps il titolo di questo post è anche un verso del brano The best di Tina Turner