PERIFERICO

Valentina Bernabei
3 min readApr 16, 2023
Dropcity view. Photo: Delfino Sisto Legnani

Dentro, fuori, prima e dopo i saloni, dopo la fiera, dopo le mostre, dopo la festa, prima di tutto. Ma che ne rimane, alla fine?
Se passassimo tutti gli avvenimenti della fatidica settimana milanese di aprile al setaccio rimarrebbero si tante cose -anche tanti scarti- molte poco tangibili, quasi effimere.
In primis il know-how tutto specifico del made in Italy in fatto di progettazione, e quindi di mente, prima ancora del prodotto finito.
E poi la possibilità di mettere sotto un riflettore su una toponomastica meneghina poco battuta.

Non si parla di Rho e dintorni ovviamente.
Si parla di un quartiere in cui moltissimi, quasi tutti (perché a ridosso della stazione di Milano Centrale) passano, ma che, in pochi conosco per quello che è: il greco, comune un tempo a sé stante.

E’ lì che si susseguono gli appuntamenti di Dropcity Convention 2023, che, come fine, ha quello di “rimettere al centro il processo di progettazione e produzione e non il prodotto finale” come ha dichiarato il suo ideatore/fondatore Andrea Caputo. Un calendario fitto di conferenze e workshop sin da oggi alle 16.00 con Aspen, the Italian Manifesto, al tunnel 142, installazione progettata da Studio Ossidiana di Rotterdam, ispirata al congresso organizzato dall’International Design Conference in Aspen (IDCA) nel 1989. Sarà introdotta da una conversazione aperta al pubblico con i protagonisti e testimoni di quel famoso evento, moderata da Michele Lupi a cui si uniranno tra gli altri Francesco Dondina e Antonio Colombo. Quest’ultimo, nella sua omonima celebre galleria di Brera, con lo stesso Dondina e altri ha ripercorso in un talk (lo scorso novembre) episodi significativi e anche esilaranti di quel cruciale congresso (la capacità degli italiani di far imbucare/imbucarsi tutti) in Colorado. Andò anche Steve Jobs, non proprio l’ultimo degli imbucati: la sua presenza ben descrive la capacità attrattiva senza tempo della progettazione italiana.
Da non perdere: al tunnel 50 Around Milan Unit by Ramak Fazel, una sintesi e rielaborazione di Milan Unit, la mostra del fotografo Ramak Fazel presentata nel 2018 alla galleria Viasaterna; al 42 Cars and the public joy l’architetto e designer Sam Chermayeff pone l’accento sulle automobili in relazione alla comunità, quindi sul rapporto di ognuno coi mezzi di trasporto sia pubblici che privati, contenuto fondamentale, originale, dismesso dai più. I luoghi interessati da DropCity sono gli spazi dei magazzini raccordati lungo via sammartini dal tunnel 38 al tunnel 60: i tunnel ci sono sempre in quella zona, non solo la settimana di aprile a Milano.
Lo scorso febbraio la stessa zona è stata protagonista di un patto di collaborazione finalizzato a valorizzare il quartiere, con il municipio 2, in accordo tra gli altri con Legambiente, la social street Greco Positiva (dal nome del quartiere greco) e l’associazione Ferrante Aporti Sammartini.
Lo scorso marzo, i tunnel di Milano hanno ospitato il numero della rivista Wallzine dell’associazione donne fotografe dedicato alle proteste sociali delle donne.
La stessa zona, quegli stessi tunnel sono centro di ospitalità più o meno attiva e partecipata di rifugiati, senza fissa dimora a cui per fortuna si è guardato con attenzione ancora prima dell’expo 2015.
Risale a quell’occasione (per rispondere anche alla recente moda delle critiche a Milano come città respingente e non ospitale) l’idea dello chef Massimo Bottura e di Davide Rampello, con il coinvolgimento della Curia Arcivescovile della Diocesi di Milano e della Caritas Ambrosiana di realizzare un refettorio all’interno delle strutture della parrocchia di San Martino nello storico quartiere Greco di Milano affinché diventi spazio di condivisione e luogo di incontro tra solidarietà, cittadini e arte.
A quanto pare, più o meno sotto gli occhi di tutti, l’idea c’è ancora.

ps il titolo di questo post è anche un verso del brano Chiuso in un quartiere, di Gose

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