O FORSE BALLA
Si definisce epidemia (parola dal greco ἐπί e δῆμος: sopra il popolo, riguardo le persone) il diffondersi di una malattia.
L’epidemia, come parola, compariva sei volte nelle oltre 60 pagine del decreto del 26 aprile 2020, in gazzetta ufficiale del 27 aprile; il decreto annunciato il 13 maggio non è ancora in gazzetta ufficiale.
Compariva una sola volta la parola pandemia.
L’epidemia, come parola, e’ stata scelta e utilizzata dall’artista Jeremy Deller (Londra, 1966) per il suo lavoro “Everybody in the place: an incomplete history of Britain 1984–1992” (realizzato nel 2018 su commissione di Frieze e Gucci).
L’artista, famoso per aver vinto il Turner Prize, conosciuto in Italia anche per la sua presenza al padiglione britannico alla 55esima biennale di Venezia, e abbastanza noto ai più per aver fatto spogliare Iggy Pop di fronte a una classe di studenti d’arte e per altre mostre importanti a livello internazionale, fu chiamato a tenere una “lezione” (forse e’ preferibile usare il termine confronto) agli studenti di una scuola superiore londinese qualche anno fa. Quel discorso in aula è poi diventato un filmato di un’ora, che è appunto “Everybody in the place: an incomplete history of Britain 1984–1992”.
Nel videodocumentario è facile ravvisare la maestria di Deller nello spaziare dalla cultura underground alla visione sociopolitica passando per cultura musicale, elettronica e industriale.
Deller scelse come argomento focus di partenza la nascita della musica acid-house e il suo espandersi.
Per affrontare e spiegare il fenomeno non parlò soltanto di vacanze ad Ibiza e di ecstasy. Ben presto il discorso virò su altre tematiche collegate: periferia, classe di appartenenza e identità sociale. Materiali d’archivio di rave party nei capannoni abbandonati intorno a Londra raccontano il cambiamento d’uso di alcune zone e strutture con l’agitazione degli operai in sottofondo: molte aree che sono state poi il più grande bacino di voto per la brexit sono ex aree minerarie che erano zone di socialisti spiega Deller, arrivando a citare anche politici come Graham Bright e Paul Staines.
Nel rapido evolversi di questi cambiamenti degli anni Ottanta l’artista non tralascia il racconto del rapido nuovo sentimento/esigenza di condivisione in luoghi iper affollati in quegli anni che videro la comparsa e diffusione di un nuovo virus che era l’HIV e a questo punto Deller, parla in maniera consona appunto di epidemia.
A un certo punto del film un’alunna che assiste alla lezione di Deller pone una domanda all’artista: quale collegamento c’è tra questo tipo nuovo di musica e lo sciopero dei minatori?
Deller risponde così: “come essere umano non puoi non essere influenzato da ciò che accade intorno a te quindi se tu per un anno intero guardi quel genere di cose in televisione e questo ti turba tutto ciò ti cambierà”. Deller sottolineò che la sua risposta era solo una sua idea. Sicuramente la sua idea è ravvisabile nei suoi lavori così come le idee e i sentimenti di tutti gli artisti lo sono nei lavori che realizzano in determinati periodi.
Vedremo nei prossimi decenni le caratteristiche delle opere realizzate in questa epoca di pandemia.
Ps. il titolo di questo post è anche un verso di un brano di Paolo Conte (“Sotto le stelle del jazz”, 1974)