Sono solo raffiche fitte di tasti della macchina per scrivere, ma in quell’alba di sabato 26 agosto, per il piemontese che scriveva alla sorella Maria, devono essere suonati come una canzone di trionfo: le notizie che picchiettava svelto riguardavano un compenso da ricchi, tante lire per una sola novella e l’albergo scelto, economico ma non per questo deludente, forniva un letto comodo: insomma tutto andava per il meglio, o così sembrava. Così inizia “Il mestiere di vivere”, documentario scritto e diretto da Giovanna Gagliardo che arriva in sala il 13 gennaio 2025 con la distrubuzione di Luce Cinecittà.
Nei primi minuti del documentario seguendo l’occhio della camera (videocamera) si arriva fino al civico 35 di Via Alfonso La Marmora: è Torino, si capisce sin dalle prime inquadrature, l’aria sabauda si respira anche senza essere lì, solo vedendo la disciplina (rigidità?) architettonica, addolcita dalle storiche pasticcerie (termine improprio scelto da me per indicare bar storici) che per fortuna resistono ancora e che, per fortuna, la regista non sorvola, anzi indugia, supera caffé Platti ma si sofferma su caffé Elena, seconda casa di Pavese dopo appunto l’abitazione che fu vera e propria, la principale per così dire, appunto via La Marmora, al 35.
Principale rispetto a chi e cosa? E Santo Stefano Belbo allora? C’è, ci sarà spazio nel filmato proprio per parlare di una vera e propria “geografia letteraria” di Pavese: e si parla quindi di collina Moncucco, delle poesie dei mari del sud in cui ci fu ispirazione per scrivere del “frusciare del vento” del “profumo di terra e di vento”, delle cascine.
C’è modo di ricordare l’importanza dell’insegnante Augusto Monti, della classe prima B, della pagella eccellente con 10 in italiano, dei compagni di studi dai cognomi e nomi illustri, tra cui Leone Ginzburg, oltre a Vittorio Foa, Pinelli, Einaudi.
Si cita anche Casale Monferrato e i frati somaschi, tra cui padre Baravalle che mise a disposizione dello scrittore la sua biblioteca (“Un paese ci vuole anche solo per il gusto di vederti andar via.”)
Ma a parte la biografia del grande Pavese, più o meno a tutti conosciuta, ci sono digressioni bellissime come lo scambio di battute che lo scrittore ebbe con il cugino che non amava raccontare dei suoi viaggi per mari ma che fu “tra i fortunati che hanno visto l'aurora sulle isole più belle del mondo” (e allora il cugino sorrise e disse che il sole era gia vecchio per loro).
Ci sono poi i versi che vale sempre la pena rileggere, ricordare: «chi scrive è come una persona che nuota», che non governa il fondo (ed effettivamente i paragoni acquatici furono una costante spesso taciuta di Pavese, da Anguilla a “sto come un pesce nel ghiaccio”).
Non manca il cinema: nel 1955 Michelangelo Antonioni usò un libro di Pavese per un adattamento: il film “Le Amiche” è liberamente tratto dal romanzo “Tra donne sole”, scritto in soli due mesi, al caffé Elena. Pavese non scriveva per il cinema però lo difendeva, il documentario sottolinea bene questo importante aspetto per cui Pavese sosteneva che il cinema doveva sganciarsi dal teatro e sviluppare il proprio linguaggio per diventare quello che era, un’altra arte.
Lo scrittore teneva un diario delle sale che frequentava con piacere, per vedere i film.
Ottima l’attenzione di ritrarre Pavese fin dalla sua tesi di laurea: «Interpretazione della poesia di Walt Whitman», tesi del 1930, quando l’autore de Le foglie d'erba non era ancora molto conosciuto.
Un capitolo a parte e molto ben sviluppato nel documentario è quello di Pavese traduttore: é sua la traduzione nel 1931 del romanzo “Il nostro signor Wrenn” di Sinclair Lewis, che l’anno precedente aveva ottenuto il premio Nobel.
Pavese traduttore era ancora giovane: il sociologo Ferrarotti difese le traduzioni di Pavese quando vennero criticate, e di contro, Pavese entrava in sciopero quando Ferrarotti non veniva regolarmente pagato in tempo da Einaudi, senza ritardi di compensi dovuti.
Nel 1932 Pavese tradusse Moby Dick: 891 pagine in inglese ottocentesco…..
Allieva prediletta delle sue traduzioni fu Pivano Fernanda: quello che la Pivano dice nel documentario è monumentale, perché vero e divertente e dissacrante come solo certi liguri sanno fare, pieno di passione per le letture. Pavese aveva capito la sveltezza e lo sguardo di Pivano, no favole.
Impossibile non citare, e infatti sono citate, le donne storiche e mitologiche come Bianca Garufi, Constance Dowling.
E poi, all’ ultimo ma non ultima: la collana viola della casa editrice Einaudi, che Pavese è ben lieto di affidare al richiedente Ernesto De Martino, iniziando una lotta sui titoli scelti con i romani comunisti…
“Il mestiere di vivere”, una produzione Luce Cinecittà, in collaborazione con Rai Documentari, realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte e con la partecipazione d Ente Turismo Langhe Monferrato Roero e il Patrocinio della Città di Torino.
ps il titolo di questo post e’ “Moltiplicare” che è anche una parola scelta da De Gregori con Fornaciari nel testo del brano “Diamante”.