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Sembra che sia passata una vita anziché cinque anni. Il naturale percorso di maturazione stilistica che un autore compie in una lunga carriera è avvenuto, nel caso di Ginevra Elkann, in un tempo più stretto, ed è dimostrato, non supposto né inventato o millantato.
Si può riscontrare nell’ osservazione dei due lavori della regista: Magari, primo lungometraggio del 2019 e Te l’avevo detto presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival, poi al festival del cinema di Roma 2023, in uscita nelle sale italiane il 1 febbraio 2024.
Questa settimana la validità del film potranno vederlo tutti, andando al cinema, contando sulla distribuzione Fandango e recuperando il primo titolo su RaiPlay, dove pure era stato diffuso allora, causa Covid.
Se con il primo titolo “Magari” Elkann era concentrata, seppure magistralmente, su un lavoro fortemente incentrato su vicende famigliari e biografiche quando non autobiografiche, nell’ultimo film lo scarto di guardare le cose da un punto di vista distaccato, quasi dall’alto, ma non nel senso di giudicante (non c’è mai presunzione) ma da altro da sé, è stato già compiuto.
Le figure famigliari sono sempre lì, come oggetto di indagine quasi preferito, consono allo sguardo della regista, ma sono anche altro: non sono più madre/padre/fratelli, sono le fragilità delle persone, dei genitori che chiamano le figlie culone mangiatorte, dei giovani che chiudono a chiave le madre per tentare di proteggerle, dei fratelli che oggi preti addict domani chissà (ma sempre addict!). Le loro difficoltà, e dipendenze, non sono tragedie ma spunti, umani e leggeri, quasi sempre anche divertenti, a saper guardare bene.
Simpatici tentativi di stare al mondo provati da tutti, o a volte di facile immedesimazione, e ad ogni modo raccontanti con un tono di umanità (e punte di grande dolcezza nei dialoghi) che pervade tutto il tempo del film, che dura un’ora e mezza ritmata e vivace.
La carrellata di figure strambe, colorate è una giusta degna eco di “Altmaniana” memoria, vagheggiata anche dalla presenza di Greta Scacchi nel cast (di primo ordine con Valeria Bruni Tedeschi, Danny Huston, Riccardo Scamarcio, Andrea Rossi, Alba Rohrwacher, Valeria Golino, Marisa Borini e con Sofia Panizzi).
La realtà supera spesso la fantasia, non c’è bisogno di effetti speciali e sceneggiature mirabolanti.
Il film, una produzione The Apartment Pictures, società del gruppo Fremantle con Rai Cinema in produzione associata con Tenderstories e Small Forward Productions, è prodotto da Lorenzo Mieli e Simone Gattoni.
Ora la critica italiana, che, si sa, è spesso in contrasto con l’opinione del pubblico e della critica di altri continenti, non deve compiere lo stesso sbaglio che ha commesso con la lettura del cinema dei fratelli Vanzina, e forse anche con Castellitto Piero, quello cioè di essere miope nel riconoscere talenti autoriali che sin da subito hanno mostrato la propria cifra e personalità, spesso nascondendo dietro un preciso sguardo di telecamera molta più cultura, saggezza, studio ed esperienza di vita di quanto si possa immaginare.
L’emergenza climatica in atto in sottofondo, da contesto degli anni attuali, è un plus, ultima generazione ringrazia.
PS. Il titolo di questo post è anche un verso di un brano di Boy George, Bow Down Mister